Nel giorno del suo undicesimo compleanno, durante una festa in famiglia, la piccola Angeliki si getta dal balcone di casa. Mentre la polizia e i servizi sociali indagano distrattamente sulle ragioni di questo gesto apparentemente incomprensibile, la famiglia, con una calma che sfocia quasi nell’indifferenza, cerca di rimettersi in sesto. Ma troppe cose non quadrano: innanzitutto non sono chiari i rapporti familiari, in particolare quelli tra padre e figli; c’è una chiusura ermetica rispetto al mondo esterno che non è normale; nessuno lavora ma nessuno sembra preoccuparsene; e, soprattutto, grava sui bambini un senso di oppressione che pare celare qualcosa.
La verità è addirittura più sconvolgente di quanto la spettatore possa intuire e verrà fuori, terribile e inesorabile come in una “tragedia greca”. E proprio una tragedia greca contemporanea è questo Miss Violence, scritto e diretto da Alexandros Avranas e premiato a Venezia nel 2013 con una meritatissima Coppa Volpi all’attore protagonista Themis Panou. I riferimenti alla crisi della Grecia, oggi più attuali che mai, sono presenti in forma allegorica in tutto l’arco del film. Tutto sembra normale, e in realtà tutto è mostruoso. E ancor più inquietante è lo stile con cui Avranas racconta questa mostruosità: con un tono di narrazione distaccato, fatto di lunghe inquadrature fisse e di silenzi, come se su tutta la famiglia – e, dunque, su tutta la Grecia – ci fosse una cortina trasparente che ottunde ogni emozione.